LA FIGLIA DEL SOLE

I tepori primaverile d'inizio Aprile erano stati cacciati lontano verso la Russia, sui picchi più alti era scesa copiosa la neve, più in basso piogge intermittenti avevano scavato i pendii delle valli, laghi e torrenti si erano paurosamente ingrossati, tuttavia i pochi ponti romani da poco costruiti avevano tenuto egregiamente, le  piene che non avevano nemmeno lambito la pavimentazione  o spostato un masso delle pile. Più a monte alcune frane erano cadute nella notte con un grandi boati che si sentiva fino in tutta la vasta valle  della Tosa. Nere figure incappucciate s'allontanavano veloci verso i loro abitazione di legno che i Leponzi chiamavano raskard,  la pioggia, alla Piana  sferzava senza cessare da tre giorni e tre notti; in fondovalle il diluvio aveva sconvolto, minacciato gli accampamenti dei Romani i quali stavano facendo i preparativi per varcare i passi alpini in  nuove campagne militari contro gl'irrequieti Galli gli Eduli. Nell'interno della grande chesa (casa) una borsa piena d'oro venne posata sulla tavola, facendo tintinnare il prezioso contenuto. " Naturalmente  qui non ci siamo mai stati " conclude con una calorosa stretta di mano Varennos, il capo druido al suo amico Thannos re dei Lepontii. " Se qualcuno dovesse fare delle domande, tu dici che le Stelle avevano dato un segnale eloquente con la "congiunzione" dei sette fratelli, l'allineamento dei Pianeti ". continua Varennos dalla lunga chioma corvina ed altrettanti baffoni neri strigendosi il mantello a quadri giallo e rossi tipici indumenti dei galli transalpini: " l'importante e fermare i Romani almeno fino alla grande piena de la mer Rodanos ".

Il cielo si stava schiarendo s'intravedeva il grande lago plumbeo, invaso da enormi tronchi, delle cataste di legname dei monti, le cui canapi che l'imbrigliavano erano stati recisi  con secchi e precisi colpi d'ascia dati nel pieno della tempesta, nel mezzo ai tuoni e saette. Poi la Natura ha fatto il resto riempiendo di acqua, fango e detriti gl'accampamenti dei Romani  a Cittillius. Un'azione di guerriglia camuffata da calamità naturale, non nuove e frequenti nel vasto bacino dei laghi prealpini. Dunque si poteva dare inizio alla feste, dalle cantine o cave salivano le grosse anfore di vino etrusco, sugli spiedi giravano quarti di bue, maiali, nelle grasse marmitte  ribolliva la soupe della foresta Nera, a base di lumache, funghi, verdure, fagioli e panna e come un rito magico il druido cuciniere, chiamato chef  gettava alcuni blocchetti marroni, che i celti ricavavano facendo bollire a lungo e poi essicati vicino ai camini, erano i primi concentrati di brodo.Due pive o gaite accopagnati da due tamburi suonavani melofie indiavolate, accopagnati da urla selvagge. L'inebriante vino veniva versato nei  ritul i corni d'argento dalle fanciulle dai lunghi capelli, si saldava la lunga amicizia fra gli Eduli e i Leponzi. Intanto Thannos si era eclissato dentro la caverna per depositare l'oro, di cui esistenza era a conoscenza del re, e solo lui conosceva il mezzo per fare rotolare la roccia infilando il suo anello che portava al collo  infilandolo   il fuso di cristallo che sporgeva da una piega dell'antro. L' anello, gli era stato dato dal suo amico Albericchio, l'elfo mastro delle pietre del Profondo (ferro) con cui costruiva le armi ai Leponzi, ma era anche il tesoriere del clan, che per svelare a nessuno affidava il malloppo ad un lupo albino e cieco, con il solo olfatto sapeva trovare la camera del tesoro. 

Nel frattempo al villaggio la baraonda era al culmine,  canti, balli, amori, risa e allegria che non si sarebbe fermata e proseguiva da un paio di giorni e mangiavano avidi come Freki, uno dei lupi di Odino, il suo nome significa mangione, l'altro compagno quadrupede si chiamava Geri, l'ingordo e avrebbero divorato tutte le provviste del villaggio, se non fosse entrata come una furia Gwinidis la rossa sacerdotessa, questi erano le sue spoglie da mortale, essa era invece Belisana, per i Galli e i Celti era paragonata alla dea Minerva la quale si era innamorata del giovane re leponzio, era tanto bella quanto temuta dai giovani Leponzi, perché non aveva fatta ancora la sua scelta fra gli scapoli del villaggio e temutissima quando irata scagliava fulmini veri, ma non mortali alle natiche dei maschi beoni. " Viaaa tuttiii! " urlò e come  una mazzata  la saetta spacco l'anfora di vino, mentre Varennos completamente brillò cercava di assaporare le ultime gocce,  credette che i cocci che si frantumavano con il  colpo di fulmine, prima sorrise alla ragazza, poi volse lo squardo ebete verso l'alto dicendo "Per Tautatis" e stramazzò all'indietro in un pesante rumoroso sonno. Tutti gl'altri sparirono nelle loro case. Thannos rientrato trovo il banchetto vuoto.  Gwinidis   si pose  davanti e facendogli roteare la sua mano delicata e fine come una mazza, urlò " Fila, anche tu! E vai a lavorare,  lascia stare i tuoi giochetti, adesso con quale legname costruiremo la nostra casa? Sei sempre il solito scemo che ti lasci soggiogare dai tuoi amici  Galli, loro non buttano a valle il legname, che avevi accatastato prima che venisse l'inverno! Bestia! che bisogno c'era, lo sai benissimo che in questa stagione, le piogge sono forti e violenti e trascinano tutto quello che trovano nel lago ". Sul principio il giovane guerriero non capì, mentre prese la roncola s' avviò a pulire il bosco dagli alberi caduti durante la tempesta, un sorriso apparì fra la corona dei suoi bianchissimi denti e pensò: Mi è andata bene oggi, ho guadagnato un bel gruzzoletto ed la mia amata ha fatto finalmente la sua scelta. Il Sole era già alto e caldo,  il cielo d'un azzurro gioioso, quest'estate si sarebbe sposato con la donna più bella dell'Alpi, "la figlia del Sole".

 

Copyright (C)  Odinonline - odistorie38 - Edizione  Maggio 2002